La scorsa estate ho letto due libri: “Invisibile” dello scrittore spagnolo Eloy Moreno e “Invisibili” della scrittrice e femminista britannica Caroline Criado Perez.
In questi giorni sto leggendo un libro intitolato “Creative Confidence”. Se avete familiarità con il design thinking, potreste averne sentito parlare perché gli autori sono David e Tom Kelley, inventori del concetto di design thinking. A loro va anche il merito di aver fondato la d.school a Stanford, dedicata proprio ad aiutare le persone a sviluppare le proprie capacità creative.
Siamo umani, quindi creativi
Il libro spiega come ognuno può sviluppare la propria creatività, anche se siamo abituati a pensarci come “non creativi” perché, ad esempio, non sappiamo disegnare.
Gli autori, invece, sostengono che siamo tutti creativi in quanto umani. È un talento naturale che tutti abbiamo, non importa se facciamo il ragioniere, l’idraulico o [inserisci qui il tuo lavoro]. Il punto è praticare il proprio modo di essere creativi.
Hai paura dei serpenti?
Questa pratica include un concetto che mi ha colpito: l’autoefficacia.
Che cos’è? Secondo lo psicologo Albert Bandura, che l’ha studiata e sviluppata, è credere nella propria capacità di avere successo in situazioni specifiche o di portare a termine un compito. In altre parole, quando pensiamo di essere in grado di fare qualcosa, abbiamo più possibilità di riuscire effettivamente a farla.
In particolare, i fratelli Kelley spiegano come Bandura abbia “allenato” i propri pazienti a migliorare la loro autoefficacia contro qualcosa che temevano, tipo … i serpenti!
Imparare un passo alla volta
La sua tecnica iniziava con il dire al paziente che c’era un serpente nella stanza accanto a quella in cui si trovavano. L’obiettivo era spostarsi lì e toccare il serpente. Potete ovviamente immaginare la reazione entusiasta del paziente ascoltava la proposta.
Ma quello che Bandura poi faceva era procedere passo dopo passo, indicando al paziente una serie di piccoli compiti utili per compiere la missione. Il primo era guardare il serpente attraverso un vetro. Quindi aprire la porta e spostarsi sulla soglia per guardarlo da lì e così via, fino a quando ad arrivare a toccare l’animale.
Ogni fase prevedeva che il paziente si prendesse tutto il tempo necessario per sentirsi a proprio agio. Il risultato finale era il superamento di una paura che, per molti, esisteva letteralmente da una vita. Bandura chiamò questo processo “padronanza guidata“.
Strumenti serpenti
Sono rimasta colpita da questo aneddoto perché ci ho visto immediatamente delle affinità con l’apprendimento dell’uso di un software. Facendo formazione ho incontrato diverse persone interessate a creare grafici o utilizzare un foglio di calcolo per analizzare i dati, ma spesso un tratto che le accomunava era il timore di “fare danni” usando un programma perché non sapevano esattamente come farlo funzionare.
La buona notizia – a parte il fatto che nessun pulsante all’interno degli strumenti per fare infografiche aziona una bomba nucleare da qualche parte – è che possiamo anche in questo ambito fare affidamento su un approccio graduale simile a quello proposto da Bandura.
Avvicinarsi un passo alla volta a un nuovo strumento in realtà è l’unico modo che ci permette di comprendere la logica del software, il suo funzionamento di base, di scoprirne le caratteristiche, i trucchi che possiamo mettere in atto per farlo funzionare meglio, i modi in cui possiamo declinarlo secondo le nostre esigenze .
Qualche tempo fa ho letto da qualche parte questa frase: “Nulla nella vita è da temere, è solo da capire”. Credo che sia molto vero anche per imparare a usare la tecnologia. La padronanza guidata di Bandura può aiutarci in questa scoperta.